Madri e figlie
da "Conversazioni di Laura Tremelloni"
di Laura Tremelloni

La relazione madre-figlia viene particolarmente evidenziata nell’ambito della psicoanalisi, ma anche trova spazio nella letteratura o nella sociologia e antropologia. Nei romanzi o nei film questa relazione può essere descritta come negativa e difficile oppure come molto soddisfacente fino ad essere idealizzata. Analogamente nella realtà troviamo in questa relazione sfumature emotive di ogni grado, combinate tra loro in modo diverso, tali da renderla altamente conflittuale: agli estremi troviamo casi in cui si parla di una condizione di complicità felice o di “amore e intesa totale” con connotazioni che potremmo definire di “incesto platonico”. All’estremo opposto troviamo casi di totale incomprensione e odio, difficilmente superabili. A partire dall’insieme delle situazioni reali che emergono nell’ambito psicoanalitico, può essere interessante ricercare una teorizzazione circa questo difficile rapporto. Dobbiamo riconoscere che per una donna essere madre di una figlia femmina e per una figlia femmina essere, e restare figlia della propria madre dopo l’adolescenza, costituisce spesso un’esperienza difficile. La domanda che ci poniamo riguarda il perché della specificità di questo rapporto tra donne che da un lato è altamente idealizzato, dall’altro ritenuto molto conflittuale. Non si tratta di utilizzare delle generalizzazioni rispetto alla singolarità di ogni relazione, ma il fatto è che nel momento in cui se ne parla, anche da un punto di vista teorico, si crea una via di riconoscimento individuale attraverso sentimenti e conflitti comuni considerati indicibili, incomprensibili o non simbolizzabili.
Vediamo ora qualche particolare circa lo sviluppo psicosessuale della bambina che è differente da quella del maschietto. In essa inizialmente l’attaccamento alla madre, come oggetto fondamentale d’amore, implica desideri inconsci di appropriarsi della madre e del suo corpo. La madre attraverso le sue cure quotidiane trasmette alla bambina le proprie fantasie inconsce narcisistiche e sessuali e la sua vitalità. Il suo percorso psicoaffettivo è più complesso di quello del maschio.
Infatti il maschietto, dopo lo stretto legame primitivo con la madre, dovrà abbandonare la vecchia traccia affettiva del legame materno per seguire la via dell’identificazione col padre, ai fini di raggiungere la sua maschilità.
I connotati della relazione materna sono comuni ai bambini dei due sessi, ma per la bambina le immagini somatopsichiche, che diventeranno rappresentazioni psichiche del proprio corpo e delle zone erogene, iniziano precocemente la loro formazione attraverso le cure materne. Si formano allora le prime tracce della rappresentazione del corpo femminile, con l’assunzione dei significati erogeni delle sensazioni interne ed esterne cutanee.  In questo modo la bambina organizza precocemente i primi segni psichici delle relazioni future amorose e sessuali. Le rappresentazioni corporee inconsce dipendono dal modo in cui la madre ha investito narcisisticamente e libidinalmente il sé fisico e psichico della bambina oppure ha trasmesso le sue ansie inconsce riguardanti le funzioni corporee e sessuali.
Per tornare alla donna adulta, da un punto di vista biologico l’elemento comune tra madre e figlia rimane l’appartenenza allo stesso sesso. Come ben sapete, il concetto della femminilità però non dipende solo dalle caratteristiche sessuali. Le radici biologiche forniscono alla bambina l’idea della appartenenza al sesso femminile, ma il sentimento d’identità sessuale non dipende dall’eredità biologica, bensì dalle rappresentazioni psichiche trasmesse dalle immagini dei genitori. Infatti, ciascun individuo diventa uomo o donna secondo una visione personale e può anche combattere contro il proprio sesso biologico.
Oggigiorno più che mai, ogni donna nel ruolo di madre si trova di fronte a due modelli di realizzazione a volte contradditori: essere madre, essere donna; essere dipendente, essere autonoma; essere rispettabile, essere desiderabile; essere devota agli altri, essere devota principalmente ai propri canoni di perfezione; essere rappresentante di una linea genealogica o essere soggetto nuovo o stravagante, essere procreatrice o creatrice. Molte si ritrovano appagate e sicure in una posizione specifica, altre si sentono lacerate dall’esistenza di molti fattori conflittuali. Ci sono donne più femmine che madri, alcune più madri che femmine, altre né madri, né femmine, altre più bambine o adolescenti che donne, altre che si sentono sempre superiori a tutti per bellezza, doti o successo, altre sempre inferiori e timide, altre gelose o particolarmente narcisistiche, altre sempre depresse ecc.. 
Sul concetto di essere donna influiscono sul singolo individuo variazioni storiche dell’ambiente e degli sviluppi culturali in evoluzione continua, tanto che nel giro di sole due generazioni abbiamo potuto apprezzare notevoli cambiamenti nei comportamenti delle donne.
Un problema da considerare riguarda il passaggio della donna dalla maternità alla femminilità nel senso che per molti anni la funzione materna è presente nella vita di una donna come fattore centrale di attenzione; ma poi quando la figlia diventa grande la sua presenza è destinata a diventare periferica oppure rappresenta uno dei tanti aspetti della vita.
L’amore materno viene considerato un fattore globale che comprende la tenerezza, la compassione, la dedizione, l’abnegazione, la sollecitudine, senza tenere conto dell’ambivalenza dei sentimenti e della concorrenza di molti fattori nella sua estrinsecazione. Durante l’infanzia dei figli, la dedizione materna verso i bambini è soggetta a molteplici fattori presenti nella vita di coppia e nelle difficoltà quotidiane della vita. Ma quando i figli diventano adulti come si trasforma?
Raggiungere un’identità chiede un impegno che si deve svolgere assieme a quello della differenziazione che permette di costruire un se stesso diverso, non come copia di un altro. Quindi questo processo di diversificazione per una ragazza è più difficile che per un maschio, data la uguaglianza sessuale e lo stesso destino corporeo della madre. La figlia deve costruire il suo sentimento di identità per imitazione di un essere da cui deve differenziarsi, conciliando il suo sentimento d’amore con i sentimenti d’amore per l’altro sesso.
La presenza di fantasmi onnipotenti della madre di dominio sulla figlia hanno effetti deplorevoli rispetto alla soggettività delle figlie. Perché una relazione madre-figlia sia sufficientemente buona è necessaria quindi la presenza del terzo in quanto separatore della simbiosi iniziale e mediatore rispetto alla onnipotenza materna La sua funzione é che possa ridurre la dominazione della madre sui figli. L’omosessualità femminile passa attraverso il fantasma della partenogenesi.
Il problema di fusione/differenziazione tra madre e figlia hanno grande importanza nelle situazioni di sterilità o di maternità, dove non sono mai assenti  conflitti psichici. La nascita di un figlio rimane per una donna una soddisfazione senza uguali, ma nel caso della nascita di una figlia esistono sentimenti di delusione, perché la figlia rappresenta l’esatta situazione vissuta dalla madre come invidia del sesso che non ha e la sua auto-svalorizzazione conseguente.